Bambini, Cura, Incontri

Adolescenti: in equilibrio tra normalità e limite

I bisogni dei pazienti adolescenti richiedono percorsi specifici di attenzione clinica e psicologica. Perché entrare in sintonia con un’età di trasformazione significa costruire rapporti nel tempo, fornendo una risposta olistica.

L’adolescente è (e resta), in ogni tempo e condizione, un mistero. Per se stesso, ma anche (o forse soprattutto) per gli adulti, oramai usciti da quel cerchio magico che in un giro d’anni segna un cambiamento irreversibile e fa perdere i codici di interpretazione necessari per leggere un mondo via via sempre più lontano. Se poi chi abbiamo di fronte è un adolescente in una condizione di malattia, ecco che la domanda già difficile – chi è e di cosa ha bisogno davvero un adolescente? – diventa un caleidoscopio di quesiti complessi quanto affascinanti da esplorare. Per la medicina, quella “terra di mezzo” tra l’infanzia e l’età adulta è uno spazio ancora poco noto: non rientra più (solo) nel campo della medicina pediatrica e ha necessità diverse e specifiche rispetto alla medicina adulta. «Gli adolescenti con situazioni di malattia grave sono pazienti speciali, con bisogni complessi e peculiari», prova a spiegare Andrea Ferrari, medico oncologo che opera presso la Pediatria Oncologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, sottolineando come sia necessario andare oltre l’asettico parametro “anagrafico” che standardizza l’adolescenza come fosse una dimensione misurabile.

«La malattia compare in un momento delicato del processo di crescita e i ragazzi si trovano ad affrontare la diagnosi e la cura del tumore mentre sono chiamati a non perdere l’appuntamento con il raggiungimento di tappe fondamentali del loro sviluppo, personale e relazionale. Per questa ragione è necessario che i bisogni di autonomia, di relazione, di progettazione del proprio futuro, non siano sospesi, almeno del tutto, dall’irruzione della malattia nella quotidianità: bisogna sviluppare percorsi di presa in carico del paziente adolescente diversi rispetto a quelli del bambino e dell’adulto». Un equilibrio delicatissimo e incerto, quello tra normalità e limite, che chiama il sistema della cura a ripensarsi e a percorrere strade nuove, innanzitutto per garantire un migliore accesso alle cure. Se sul fronte della clinica c’è un ampio e doveroso spazio di crescita e miglioramento, bisogna riflettere su come mettere in campo nel percorso di cura tutti gli altri elementi che possano affiancare, interpretare e accompagnare al meglio la “complessità” della persona adolescente. «Gli adolescenti sono persone che vivono in maniera diretta e direi sfrontata le emozioni e i rapporti. Loro sono per il bianco o nero, non valutano le questioni nella loro complessità, come fanno gli adulti. Da qui nasce la difficoltà per il mondo adulto di sintonizzarsi con loro. Una difficoltà che, nel caso di una situazione di malattia, riguarda sia i genitori sia lo staff di cura. Dagli adolescenti ricevi risposte spesso brutali, dirette, che possono destabilizzare: portano a un livello di “nudità” cui non siamo abituati. Il loro primo bisogno è quindi trovare dall’altra parte, nello staff di cura, adulti che sappiano sintonizzarsi su questo loro codice, dialogare alla pari, senza schermi», sottolinea la pedagogista e filosofa Laura Campanello.

«Per entrare in relazione con un paziente adolescente», conferma Ferrari, «bisogna dedicare un tempo specifico, disporre spazi dedicati e anche utilizzare strumenti di comunicazione diversi – come l’arte, per esempio – che gli consentano di tirar fuori quel concentrato di paura, di rabbia, di fragilità e di domande che si porta dentro lungo il percorso di malattia. La speranza dei pazienti è legata alla relazione che si riesce a costruire nel tempo. Per questo, la gestione psicologica deve coinvolgere medici e infermieri, assistenti sociali e insegnanti, il team al completo che fornisce il primo supporto emotivo, oltre a essere poi indispensabile l’apporto specialistico. Abbiamo presentato uno studio in cui abbiamo documentato il numero di colloqui psicologici necessari nella gestione di un bambino e di un adolescente», aggiunge Ferrari: «il risultato è che all’adolescente va dedicato un tempo quattro volte superiore».
«La bussola che traccia il percorso di relazione resta nelle mani dell’adolescente, è lui che detta le regole e i tempi», sottolinea Campanello, che introduce anche la terza variabile di questo già complesso equilibrio: i genitori. «In situazioni di malattia, i genitori hanno un ruolo di accudimento. È il loro linguaggio specifico, quello a cui possono arrivare, ed è anche ciò che l’adolescente vuole da loro: poter avere la coccola, potersi lamentare, potersi lasciare andare a un capriccio. Spesso l’esordio della malattia è avvenuto nell’infanzia, a 7-8 anni o anche prima, ed è come se il rapporto tra figlio e genitore si fosse “congelato” in quel momento: non è quindi un’involuzione verso codici dell’infanzia, quanto piuttosto una sospensione del tempo».

Rispondere ai bisogni dei pazienti adolescenti significa anche essere in grado di offrire infrastrutture e servizi adeguati: avere uno staff dedicato, spazi e progetti riservati, un reparto che non abbia limiti anagrafici e consenta l’accesso di pazienti a cavallo tra l’età pediatrica e quella adulta, équipe in grado di affrontare problemi scolastici ma anche i problemi legati alla sessualità. Progressi sono stati fatti. Racconta Ferrari che «dieci anni fa in Italia esistevano solo due Centri con progetti specifici rivolti all’adolescenza, oggi sono sedici. Sempre dieci anni fa, il 45% dei centri italiani all’interno di ospedali pediatrici aveva un limite molto rigido per l’età di accesso a 14 o 16 anni; oggi questa rigidità è caduta, rimane solo nel 10% degli ospedali pediatrici, quindi esiste per gli adolescenti la possibilità di accesso a cure migliori e più specifiche. Dieci anni fa l’arruolamento nei protocolli dell’AIEOP (l’Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica) per i pazienti adolescenti era intorno al 10/15%, oggi siamo al 40%. Possiamo dire che molte cose stanno cambiando, e decisamente in meglio».

LA BUONA PRATICA IN ITALIA
“IL PROGETTO GIOVANI”
Il Progetto Giovani, attivato nel 2011 all’interno della Pediatria Oncologica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, rappresenta un modello di riferimento mondiale di risposta clinica, psicologica e psicosociale dedicata agli adolescenti (pazienti tra 15 anni e 18 anni) e ai giovani adulti (tra 19 e 25 anni) affetti da tumori di tipo pediatrico. L’obiettivo del progetto è stato fin da subito creare un nuovo modello di organizzazione medica e di cultura specifica, con la sfida di occuparsi non solo della malattia, ma della vita dei ragazzi, facendo entrare in ospedale la loro normalità, la loro creatività, la loro forza, la loro bellezza. Il Progetto Giovani vuole migliorare e standardizzare particolari aspetti clinici come l’accesso ai protocolli di cura, il supporto psicosociale, le misure di conservazione della fertilità, la gestione dei pazienti dopo la conclusione della terapia. Ma vuole anche creare – in un reparto
inizialmente nato per curare i bambini – spazi e progetti dedicati, per rendere il luogo di cura un posto un po’ “speciale” per gli adolescenti malati. Scoprilo su: www.ilprogettogiovani.it

LA BUONA PRATICA INTERNAZIONALE
“LA SUITE”
Si chiama “La Suite”, ed è un complesso di spazi allestiti all’interno dell’ospedale pediatrico Necker di Parigi pensato per adolescenti portatori di una patologia grave o cronica. Uno «spazio di passaggio» tra il mondo della cura pediatrica e quello della medicina adulta, che – grazie all’attività di uno staff multidisciplinare allargato che va dall’oncologo all’insegnante di mimo – mette in campo una risposta allargata ai bisogni di cura, di socializzazione e sostanzialmente di “normalità” degli adolescenti malati. Esperienza avviata nel 2016, La Suite è pensata per «aiutare gli adolescenti a crescere, a diventare adulti, a prendersi cura di loro, per accompagnarli nei loro progetti di vita e professionali», spiega Béatrice Langellier Bellevue, coordinatrice della struttura. In pratica, La Suite «è uno spazio di scambio, in cui gli adolescenti possono incontrarsi e parlare con un gruppo di professionisti, ma anche svolgere attività tra coetanei. Questo luogo offre informazioni, supporto, consapevolezza e azioni di prevenzione in vari campi come ginecologia, consulenza d’immagine, socio-estetica, rilassamento e sport». Per essere accessibile potenzialmente a tutti gli adolescenti in situazione di malattia, La Suite oltre a uno spazio fisico è anche un’app, che consente di fruire dei servizi di consulenza e accompagnare il percorso di cura del paziente dovunque esso si trovi. Scoprila su: www.la-suite-necker.aphp.fr

QUANDO IL CINEMA RACCONTA L’ADOLESCENZA
Se la scienza cura, il compito di esprimere i bisogni degli adolescenti colpiti da una malattia grave lavorando sulle sfumature non può che essere demandato al linguaggio dell’arte. Solo lavorando sulle corde dell’empatia è forse possibile provare a rendere esplicito il contrasto che si consuma all’interno di una vita che, nel suo momento più esplosivo e irrazionale, si trova costretta a fare i conti con il tema del limite. L’ultimo “caso” è stato il successo, alla recente Biennale del Cinema di Venezia, di Babyteeth, opera prima della regista australiana Shannon Murphy, che ha portato sullo schermo il dramma di Milla Finlay, adolescente gravemente malata che per caso si imbatte in Moses, giovane tossicodipendente. Un racconto che scardina le regole del classico teen movie sentimentale, e mettendosi nella prospettiva della ragazzina, della sua inarrestabile voglia di vivere, di cogliere le opportunità che ogni nuovo giorno regala, spinge la girandola di personaggi che punteggiano la quotidianità di Milla a misurare il peso dei propri disagi, problemi, paure e a ricalibrare il proprio rapporto con la vita. La vetrina di Venezia ha dato grande visibilità a un tema e a una dinamica narrativa che il cinema ha già esplorato
con successo, a partire dal capolavoro del genere, Colpa delle stelle, un film del 2014 diretto da Josh Boone, adattamento cinematografico del romanzo di John Green e diventato un “caso” per la sua imprevista diffusione virale tra gli adolescenti. Il sole a mezzanotte, del regista Scott Speer (2018), A un metro da te (uscito a inizio 2019) diretto da Justin Baldoni ma anche – passando dal grande al piccolo schermo – la fortunata fiction Rai Braccialetti rossi di qualche anno fa confermano come l’attenzione alle problematiche e alle sfumature della malattia nella fase adolescenziale sia prepotentemente uscito dall’ombra o dall’indifferenza. C’è un approccio nuovo a questa riflessione, che genera una reazione emotiva e un seguito fortissimo – prima ancora che negli adulti – negli stessi adolescenti e coetanei.

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