
Per decenni, la realizzazione dei luoghi di cura – pensiamo ai grandi ospedali urbani – ha risposto a due principi fondamentali: efficienza e sicurezza. Il risultato? Grandi strutture chiuse e anaffettive, corpi estranei rispetto all’ambiente urbano o naturale circostante. Difficilmente “l’elemento umano”, e ancora meno quello della natura, erano fattori presi in considerazione come principi progettuali. A cambiare le regole del gioco e a portare la riflessione sull’impatto che l’ambiente costruito e quello naturale possono avere sul benessere psicofisico delle persone è stato il fortunato incontro tra una nuova sensibilità degli architetti e la crescita di autorevolezza di discipline come la psicologia ambientale. Che cosa sia questa disciplina lo spiega bene Rita Berto, Psicologa ambientale, dottore di ricerca in Percezione e Psicofisica e membro del Laboratorio di Ecologia Affettiva (Green Leaf)dell’Università della Valle d’Aosta, definendolo il campo di ricerca che «studia i processi cognitivi, le reazioni affettivo-emotive e il comportamento dell’individuo in relazione alle caratteristiche dell’ambiente, per cercare di risolvere quegli errori di progettazione e gestione dello spazio che non sostengono una corretta e positiva interazione tra l’individuo e l’ambiente, in pratica che non soddisfano i bisogni primari di comprensione ed esplorazione e generano emozioni e sentimenti negativi».
Fin dagli anni ‘60 del secolo scorso la Psicologia Ambientale sostiene e dimostra che l’ambiente deve sempre essere adeguato alle necessità di un individuo in un particolare momento; nonostante ciò, la progettazione degli ambienti ospedalieri e di cura in generale ha raramente ricevuto un’adeguata attenzione. Fanno eccezione i reparti di pediatria dove però gli abbellimenti, le decorazioni e interventi vari non sono parte di un approccio diverso alla progettazione. Nello specifico, questa disciplina può offrire un contributo importante alla progettazione di una struttura destinata alla cura perché è in grado di individuare gli elementi che devono essere introdotti o modificati per migliorare la qualità degli spazi a sostegno del benessere psicofisico dei pazienti, dei dipendenti e dei visitatori. Tra questi l’illuminazione, i colori, la configurazione spaziale degli arredi, la scelta dei materiali, la presenza di elementi naturali e di privacy, la segnaletica.
Una persona malata è molto più vulnerabile all’effetto negativo dei cosiddetti “stressori ambientali”, perché ha meno risorse psicofisiche da spendere nel coping, ovvero la capacità di un individuo di far fronte e gestire la situazione che è fonte di stress. I luoghi di cura, basti pensare alle sale d’attesa dei reparti, sono quasi sempre caratterizzati da numerosi stressori ambientali: affollamento, illuminazione artificiale, assenza di luce naturale, odori sgradevoli, rumore, allestimento che disorienta, temperature eccessive. Esistono però anche caratteristiche ambientali che, al contrario, possono agire da fattori protettivi, funzionando da stimolatori di coping per l’individuo. L’esposizione all’ambiente naturale è la strategia di coping per eccellenza, perché consente di contrastare la fatica mentale e la risposta di stress associata alla malattia. Da qui nasce l’esigenza di una progettazione che si ispiri ai benefici rigenerativi offerti dalla Natura, la cosiddetta “progettazione rigenerativa”.
La sensazione di benessere che proviamo quando siamo a contatto con la Natura viene definita dalla scienza “processo di rigenerazione psicofisiologica”. Nell’ambito dei miei studi ho potuto verificare che in bambini, adulti e anziani sottoposti a uno stato di affaticamento mentale indotto sperimentalmente, l’esposizione all’ambiente naturale porta a un miglioramento significativo della capacità attentiva e riequilibra il livello di attivazione fisiologica, anche con esposizioni inferiori ai 10 minuti. Per questo, è sempre più riconosciuta l’esigenza di una progettazione degli ambienti artificiali che assecondi/rispetti il legame Uomo- Natura, come il Biophilic Design e il Restorative Environment Design, di cui mi sto occupando negli ultimi anni.
L’ecologia affettiva studia le relazioni emotive e cognitive tra gli esseri umani e la Natura, concentrandosi soprattutto sul legame affettivo che gli individui stabiliscono con il mondo vivente e non vivente. Ha l’obiettivo di promuovere una connessione profonda e consapevole con la Natura. Per farlo bisogna però risvegliare il sentimento di affiliazione verso la Natura, la nostra biofilia, ovvero la tendenza innata a dirigere e concentrare l’attenzione sulle forme di vita (cuccioli, uccellini, fiori, piante…) e in alcuni casi ad affiliarci emotivamente, cioè a provare emozioni e sentimenti positivi nei loro confronti. La biofilia è innata ma non è istintiva: nasciamo dotati di biofilia così come di abilità verbali, matematiche, artistiche, musicali e motorie, che, se educate, possono in alcuni casi raggiungere risultati eccellenti. Se adeguatamente educata, la biofilia può trasformarsi in intelligenza naturalistica. Serve qualcuno che ci avvicini alla Natura, ci aiuti a dirigere la nostra attenzione verso le forme naturali, ce ne faccia apprezzare la bellezza e l’importanza e ci aiuti a sviluppare sentimenti positivi nei loro confronti. I nostri studi sui bambini hanno dimostrato che ci vuole tempo perché la biofilia si trasformi in connessione con la Natura: in un gruppo di bambini di scuola primaria ci sono voluti quasi due anni prima di avere dei risultati significativi.
Adottare l’approccio rigenerativo alla progettazione dei luoghi di cura significa pensare ambienti che non presentino stressori e non creino affaticamento cognitivo, ma al contrario favoriscano il benessere psicofisico, il che avviene se la progettazione sostiene il legame biofilo Uomo-Natura, attraverso la presenza di elementi naturali (dove possibile) o ispirati alla Natura (forme, colori, tessiture, disposizioni, suoni, essenze…), perché l’esposizione alla Natura favorisce la rigenerazione dell’attenzione, il recupero dallo stress e la comparsa di emozioni positive. Studi scientifici dimostrano che la Natura è affascinante, ovvero in grado di attivare l’attenzione involontaria, che non richiede sforzi da parte nostra. L’attivazione dell’attenzione involontaria è fondamentale per consentire alla parte volontaria di riposarsi e soprattutto di rigenerarsi. Infatti, l’attenzione volontaria, che è necessaria per lo svolgimento di qualsiasi compito/attività ed è coinvolta nel caso di grandi preoccupazioni, come una malattia, richiede un grande impegno da parte nostra per essere mantenuta e dopo un uso intenso e prolungato si satura, generando lo stato di fatica mentale.
PER APPROFONDIRE
Rita Berto – Maria Rosa Baroni
Stress Ambientale. Cause e strategie di intervento ed. Carocci (2013)
Rita Berto – Giuseppe Barbiero
Introduzione alla biofilia. La relazione con la Natura tra genetica e psicologia ed. Carocci (2024)