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L’innovazione tecnologica viaggia così veloce che addirittura la denominazione di questo ambito, “digital fundraising”, sembra ormai essere superata. Machine learning, data analysis, sistemi di intelligenza artificiale generativa che nell’ultimo paio di anni sono diventati sempre più diffusi e accessibili – anche economicamente – stanno infatti cominciando a entrare nei processi di gestione delle organizzazioni non profit.
Una platea che, in particolare in Italia, non è mai stata orientata alla digitalizzazione (secondo l’indagine “Terzo settore & digitale”, promossa nell’agosto 2024 da Italia non profit, il 66,2% degli ETS intervistati si reputa ancora non pienamente digitalizzato), ma che esprime una forte capacità di adattamento e di trasformazione e quindi, una volta imboccata la giusta direzione, può trarre importanti benefici dalle soluzioni che la tecnologia mette oggi in campo. A far intravedere come e quanto un approccio strategico (e non sporadico o improvvisato) alla tecnologia può portare risultati positivi alle non profit è Mattia Dell’Era, Chief Digital Officer & Donor Acquisition Manager di Dynamo Camp, realtà che offre gratuitamente programmi di terapia ricreativa per bambini e adolescenti affetti da malattie croniche, oncologiche, neurologiche, rare o genetiche.
Dynamo fin dalle origini ha investito in data architecture, formazione e governance dell’innovazione, e sta facendo anche da pioniera in questo “nuovo mondo” dell’intelligenza artificiale.
«Il digitale per un’organizzazione come la nostra è pressoché fondamentale. Se consideriamo l’ambito del fundraising, il 98% delle nostre donazioni arriva da digitale»
puntualizza Dell’Era. Un dato importante che rende esplicito il risultato di un lavoro di analisi, progettazione e ottimizzazione costante. Il cuore della raccolta fondi resta la relazione, ma una relazione resa più efficace e personalizzata grazie alla tecnologia.
«Per esempio, nell’ultimo anno abbiamo inviato oltre 200 comunicazioni a 50 diversi gruppi di donatori: donatori continuativi, acquirenti dei nostri prodotti solidali, donatori ricorrenti… Esiste una quantità enorme di cosiddette “segmentazioni” da gestire ed è qui che il digitale fa la differenza: non solo per inviare le comunicazioni giuste, ma per costruire coerenza, continuità, presenza. In altre parole, relazione».
Non si tratta di abbandonare il contatto umano, ma di potenziarlo. L’approccio adottato da Dynamo è infatti profondamente relazionale: il digitale è uno strumento per raccogliere, organizzare, personalizzare, ma non sostituisce il dialogo diretto con il donatore. «Il vero momento in cui qualcuno sceglie di sostenerti arriva quando lo guardi negli occhi o lo senti per telefono. In questo processo, la tecnologia è lo strumento che ti accompagna fino a quel punto, che ti aiuta a esserci, a consolidare l’opportunità della relazione e a ottimizzare il tuo tempo, in modo da poter curare poi meglio la relazione, lì dove conta davvero».
Un passaggio evolutivo fondamentale è stato l’adozione di strumenti di intelligenza artificiale generativa, personalizzati e addestrati per ogni area operativa della Fondazione. «Abbiamo sviluppato internamente una policy e una struttura per cui ogni ufficio ha un suo GPT. Che sia l’area bandi, corporate, eventi, fundraising diretto, ognuno ha il suo linguaggio, i suoi documenti, le sue informazioni».
Si tratta di veri e propri GPT aziendali che “conoscono” già lo stile e i bisogni della singola area e possono essere interrogati per produrre report, presentazioni, comunicazioni, scouting di fondazioni o verifica di requisiti per bandi. Le nuove conoscenze che ogni area immette quotidianamente contribuiscono ad arricchire e rendere sempre più intelligente il sistema. «Se per lavorare a un bando prima servivano giorni, adesso bastano ore», dice Dell’Era, «e il tempo che si libera dalle attività più operative consente alle persone di dedicarsi ad attività più strategiche, dove serve l’intelligenza “umana“». Tra queste, il progetto di condividere questo modello di GPT per le non profit. «Ci piacerebbe che questa policy fosse utile anche ad altre realtà. Magari più piccole, che non hanno un reparto R&D. Vorremmo arrivare a mettere a disposizione in modalità open questo strumento».
Uno dei nodi critici resta quello delle competenze digitali, spesso difficili da trovare — o da trattenere — nel non profit.
«Nel nostro mondo non ci sono ancora le competenze necessarie e attingere dal profit è complicato. A livello di retribuzione non siamo competitivi, è una sfida strutturale».
Per questo è fondamentale formare internamente, trattenere i talenti con motivazioni non solo economiche e creare una cultura dell’innovazione diffusa.
Ma, soprattutto, serve una direzione chiara dall’alto che consenta il salto evolutivo. «Tutto questo può avvenire solo top-down. Se chi governa un’organizzazione non comprende il valore della trasformazione digitale e non la richiede, questa non avverrà mai. Se non parte dall’alto, non parte affatto».