Cura

La bellezza curerà il mondo

«Quando un’opera pecca in eleganza, il fatto che risponda alla necessità è cosa di scarsissimo peso, e che soddisfi alla comodità non appaga sufficientemente. Giacché nessuno potrà negare di sentirsi più a suo agio abitando tra pareti ornate che tra pareti spoglie». Siamo a metà del Quattrocento e così Leon Battista Alberti, architetto e umanista, pone un punto fermo su cui la riflessione è ancora aperta. Forma e funzione.

Forma o funzione. Un dibattito incentrato su queste due parole che ha attraversato anche l’architettura dei luoghi di cura, dagli “spedali” d’epoca rinascimentale, realizzati all’interno di grandi strutture religiose e popolati di affreschi di grandi maestri (forse proprio affinché la bellezza compensasse i limiti della scienza medica), ai modernissimi centri ospedalieri di oggi, dove tutto è funzione: delle perfette ed efficientissime macchine per curare. Ma spesso prive di un’anima. E proprio perché mancano di questo elemento che potremmo chiamare bellezza, o forse meglio armonia, finiscono per far sentire il paziente, i visitatori, lo stesso personale, tutti coloro che all’interno di queste “macchine” vivono la loro quotidianità, degli estranei, a disagio, non in sintonia. Compromettendo così la propria più profonda natura, quella di essere ospedali, ovvero ospitali, luoghi in cui chi entra è un hospes, un ospite che va messo a proprio agio.

Non basta quindi l’efficienza, non è sufficiente rispondere alle norme stringenti delle conformità di legge: quel che i luoghi di cura devono ritrovare, e trasmettere, è un’intrinseca relazione con la bellezza. Perché al loro interno si svolge tutto il ciclo di vita giornaliero di una persona, spesso da una posizione fissa, spesso in condizione di attesa e di disagio. E quindi diventano, per quella persona, luoghi di familiarità, ogni dettaglio può diventare stimolo di riflessione, specchio dei pensieri che guardano all’altro da sé, all’ambiente circostante, per trovare conforto, ri-pensarsi.

In questo senso l’armonia di queste architetture ha un potere di cura: la dislocazione degli spazi, i colori, l’arredo, i rapporti di illuminazione, sono tutti elementi che attivano funzioni emozionali, simboliche e di pensiero che possono avere degli effetti su parametri biologici e psicologici, sostenere e arricchire quella “forza spirituale” che è determinante nell’efficacia della cura. «La Bellezza salverà il mondo», scrisse Dostoevskij. E può anche aiutare a curarlo.

THE ARCHITECTURE OF HOPE: MAGGIE’S CANCER CARING CENTRES
di Charles Jencks

Il libro racconta la storia e la filosofi a del più celebre progetto al mondo di alta architettura messa al servizio dei luoghi di cura. Per la progettazione dei Maggie’s Center, 9 in Gran Bretagna, la charity fondata da Maggie Keswick Jencks (architetto), ha chiamato alcuni tra i più celebri architetti del mondo, da Frank Gehry a Zaha Hadid a Rem Koolhaas.

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