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«Il titolo si ispira alle Città Invisibili di Italo Calvino. Come scriveva Calvino, le città non si ergono su edifici, torri e mura difensive, ma pongono le loro fondamenta sulla cura reciproca e sui legami della comunità». Il disvelamento con cui Giulio Costa, Responsabile Area Psicologica Adulti della Fondazione Hospice Seràgnoli, dà avvio al suo intervento racchiude tutte le direzioni e le suggestioni che hanno caratterizzato l’incontro dal titolo Il filo invisibile della cura che si è tenuto lo scorso 21 maggio presso il Campus Bentivoglio della Fondazione. L’evento ha visto una partecipazione considerevole e attiva dei cittadini di Bentivoglio e dintorni.
Una riflessione, profonda e ampia, sui «fili invisibili e le relazioni anche informali che intercorrono tra professionisti, realtà della cura e comunità in cui operano, relazioni necessarie per offrire una cura adeguata e quindi per la qualità della vita di chi presta le cure e di chi le riceve» ha detto il Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna, aprendo i lavori con un messaggio videoregistrato. Due i temi lungo i quali si sono sviluppati gli interventi. Il primo è proprio quello dei legami, dei fili, dei punti di vicinanza e di separazione tra due mondi che spesso convivono, ma non sempre si comprendono: le comunità territoriali – persone, organizzazioni, Istituzioni – e i luoghi di cura, che talvolta si scoprono solo quando esiste un bisogno. L’altro, strettamente collegato, è il tema della visibilità/invisibilità della cura e della malattia, intesa come realtà presente, eppure da “tenere fuori” dai contesti sociali. Nella nostra contemporaneità fitta di impegni, la cura rischia di diventare invisibile e marginale, insieme alla malattia, al dolore e alla morte, anche a noi stessi, è stato detto dai relatori.
Per rompere l’invisibilità bisogna quindi fare spazio alla cura nei luoghi pubblici, ma anche nell’uso del linguaggio. Come osserva Sharon Nahas, Direttrice Medica della Fondazione Hospice Seràgnoli «quel che facciamo quotidianamente passa attraverso alcune parole chiave, comunità, cura, consapevolezza, gentilezza, attenzione, ascolto. La cura non è solo del paziente, è cura del nucleo familiare, dell’operatore, della comunità che sta intorno. È fondamentale quindi avere un vocabolario condiviso che all’interno di questa rete di relazioni consenta a tutti di comprendere, e quindi di essere coinvolti».
In questo percorso, le cure palliative si muovono nella direzione dell’inclusione, rendendo visibile il potere della cura, che si nutre di relazioni. Perché, come è stato sottolineato, «la cura avviene nella comunità. L’invecchiamento della popolazione e le cronicità hanno creato la necessità di un nuovo approccio dei servizi sociosanitari ai bisogni. Esistono già dei fili, ma vanno rafforzati, ritessuti, riannodati». O, come ha ricordato il Cardinale Zuppi, «è possibile rendere saldo il filo invisibile della cura se c’è integrazione tra professionisti sanitari e comunità, perché nella comunità ci siamo tutti, tutti siamo chiamati a essere strumenti di cura per gli altri».