Antonio Albanese e Elisabetta Gnudi
La casa del tempo

Chissà il tempo da dove viene e quando ci sfugge, poi dove va. Si chiedeva il ladro contemporaneo, sempre di corsa tra un lavoro e l’altro per cercare di arrivare a casa in tempo.
Lo domandava ovunque lo trascinasse il lavoro, a chiunque fosse disposto ad ascoltarlo.
Un giorno, in un villaggio di villette a schiera (convenientemente progettate dai nostri urbanisti, perché spalmare la noia orizzontalmente è molto meglio che concentrarla in un solo punto) mentre beveva un caffè amaro quanto una vacanza in alta stagione, ancora una volta rispolverò la questione.

“Che vuoi fare?” Rispose un vecchio signore dalla pelle stropicciata come le poche banconote che aveva in tasca.
“Un colpo a casa del tempo? Gli oggetti senza tempo sono probabilmente anche senza valore.” Commentò sarcastico il suo compare roteando gli occhi al cielo. Poi, più interessato al mercato che al tempo, più interessato al giorno che alla notte, accese una sigaretta e uscì dal locale.

Ma il ladro, segnato l’indirizzo sullo scontrino, andò a cercare la casa che gli era stata indicata.
Quando la trovò, si sedette sul ciglio opposto della strada ad aspettare.
Era una tra le tante villette di un lungo viale che scivolava verso un campo abbandonato, segnato dalla fantasia di mille bambini.
In attesa che qualcuno entrasse o uscisse dalla villetta, la studiò con attenzione: non aveva nulla di particolare.

Il sole scalpitò verso l’alto del cielo per poi afflosciarsi, rosso di stanchezza, sull’orizzonte. Sorpreso dal sopraggiungere del buio, il ladro si drizzò in piedi per andarsene.
“Come mai tanta fretta?” Dietro di lui, il signore del bar. “Non è molto il tempo che posso sprecare al seguito delle mie illusioni.”
“O delusioni?” Rifletté il vecchio, ma l’altro stava già risalendo il viale.

“Perché non entra a prendere un caffè?” Domandò il vicino di casa, attraversando il cancello della villetta che il ladro aveva passato tutto il giorno a fissare.
“Preso in giro, come un idiota… se entro in quella casa gliela ripulisco.” E, con un animo da poeta disonesto, lo seguì fin davanti alla porta. Da vicino non gli sembrava più una porta qualunque: la qualità del legno, i dettagli delle finiture.

“Chissà quanto vale.” Si colse a ragionare ascoltando appena appena l’ospite che gli diceva: “Fai come se fossi a casa tua,” quindi la porta si chiuse.
Il ladro rimase solo e interdetto a guardarsi intorno. L’arredamento gli apparve prezioso e ricercato (“Tutti pezzi unici” si immaginò già elogiare al suo rivenditore di fiducia).
Eppure, tutti pezzi già visti. Già vissuti.

La porta di vetro alla sua destra si spalancò e una palla roteò ai suoi piedi.
“Quante volte pensate di romperla!” Urlò una voce appresso due bambini che fecero irruzione nell’ingresso ridendo.
“Ciao Papà!” Poi, mormorando tra loro furtivi: “Accidenti è già arrivato!”

Una donna arruffata e stanca si affacciò. Quando lo vide, il suo sguardo prima confuso, poi indispettito e infine sollevato, s‘illuminò.
“Beh, non ti aspettavano. Gli avevo detto che, come al solito, non saresti arrivato a casa in tempo.”

Adelaide Gallo
Tu sei intelligente e sai molte cose… sussurrava il tempo…

Il tempo a volte è simile a un giocattolo! Un coccodrillo su rotelle dotato di una molla che gli faceva spalancare le mandibole nel tentativo di afferrare una farfalla posata sulla testa. Un rapporto movimentato, variopinto, con il coccodrillo sicuro che alla prossima azzannata si farà il bocconcino. Naturalmente la cosa è strutturata in modo che il coccodrillo non ce la faccia mai. Ma poi andò che un meccanismo si inceppò e un certo coccodrillo si pappò la farfalla. Così fa il tempo che sempre più ingordamente trangugia le ore e gli ideali.

L’immaginazione del tempo non è limitata da nessuna disciplina scientifica. A volte dà l’idea di un passo o di una scoperta. Si può avere la sensazione mistica che la conoscenza del tempo possa rendere l’uomo capace di sconfiggere la malattia.

Non si deve mai regalare a nessuno, con leggerezza, un materiale così vario e personale come il tempo. Non si può permettere che altri trovino alcun senso negli scritti “celesti” del tempo all’infuori del lavoro finito. Il tempo può essere eterico e immobile. Fa ricordare gabbiani col becco robusto e grandi più di quanto sia consentito immaginare, nuotare rimirando il fiume così colui da non essere neppure tentati da brevissimo volo. Tutto come il tempo, svaniva e si dilatava, diventava confusione di oli e di cielo. Il tempo è meditazione in ore e ore di silenzi. Ci si sente fuori dal corpo e levitando si entra in un bel vuoto. E cavalcando l’inconscio si raggiunge il cielo.

Il tempo è anche un libro biografico sulle vite degli altri. In una edizione con la carta rovinata. E pensare ad una mistica che dipinga tutto quando è esterno al corpo e alle anime supponendo la vera materia nella quale l’Io di chiunque viene tessuto. Il linguaggio del tempo è allusivo e simbiotico, lusso risulta perciò leggibile solo sullo sfondo della trivialità e dell’alienazione del secolo. Il tempo è il “Dandy” che si misura incessantemente con lo specchio alla ricerca dell’ideale assoluto della voluttà. È il respiro in guerra con se stesso.

Il tempo è soprattutto amare e addormentarsi facilmente e non sognare. Il tempo è cenare con un uomo che non smetta mai di guardarti negli occhi e che non smetta mai di tenerti la mano. Il tempo è Marlon Brando che oltre la vita, continua ad abbracciarti e a dirti che la creazione è un potere e un dono che appartiene solo a Dio.

Il tempo infine è una lunga lettera che pian piano ti trascina nel sentiero della speranza. E ti fa capire che la speranza è quel sentimento che ti fa vivere bene. Anche nel dolore e ti accende quella luce in un cuore stanco che aiuta a vivere.

 

 

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