Cura, Incontri, Solidarietà

In hospice nessuno è spettatore

Il luogo della cura, così come il teatro, è un luogo di partecipazione e di confronto. Questo l’elemento che ha acceso la curiosità e la sensibilità di Claudio Longhi, regista e direttore di ERT Fondazione, rispetto al “contesto umano” degli Hospice Seràgnoli.

Più che un filo, quel che lega Claudio Longhi, regista teatrale e direttore di ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione alla realtà degli hospice e delle cure palliative è piuttosto una trama. Un intreccio di occasioni e di situazioni, «tante, se non tutte, apparentemente fortuite e slegate l’una dall’altra», che però a un certo punto «finiscono per ritrovarsi in un orizzonte di destino che ti permette di riconsiderare tutto quel che ti era successo, e a cui non avevi magari fatto caso, e comprenderne il vero significato. È il bello della vita», dice.

Regista e uomo di teatro, dallo scorso gennaio è direttore di ERT Fondazione, ruolo che lo porta a confrontarsi in maniera diretta con la realtà bolognese e romagnola, «a dialogare con un tessuto sociale ricco di soggetti ed estremamente vivo, nel quale la Fondazione Hospice Seràgnoli è una presenza di valore, un riferimento», osserva. «Già attraverso i percorsi insondabili della vita avevo potuto conoscere la realtà della Fondazione», racconta, ma successivamente ha potuto cogliere quel comune denominatore che unisce i due mondi della cultura teatrale e della cura, seguendo uno dei principi su cui ha basato la sua professione e la sua vita: il dialogo e l’apertura all’altro come “strumenti” dell’operare quotidiano e come fine stesso dell’agire.

«C’è una grande utopia che ha segnato il teatro del Novecento e di cui anch’io sono  figlio: è l’idea che crede in un teatro che sia “more than theater”, che superi la dimensione ristretta del palcoscenico, della platea e diventi esperienza aperta alla comunità, facendosi teatro sociale o – meglio – di interazione sociale. Un teatro, insomma, che si confronti con la comunità, che diventi spazio all’interno del quale la società riflette su se stessa, condivide i propri traumi, le proprie conflittualità e trovi attraverso il confronto una via positiva per il proprio destino. Le esperienze di teatro-terapia o di teatro-carcere vanno in questa direzione. Credo insomma nel teatro non come fruizione, come consumo, ma come partecipazione».

In questo senso, l’incontro con una «comunità» come quella degli hospice assume un connotato nuovo, generatore di stimoli e di percorso di crescita comune. «Mettere un sapere teatrale di cui sono portatore al servizio di una progettualità “altra” come quella della Fondazione Hospice Seràgnoli, che sentivo particolarmente vicina alle mie corde è stato un segno del destino. Mi sono sentito come il marinaio che all’improvviso si ritrova al centro della tempesta perfetta».

Così, riprendere quelle trame a ritroso e vedere quanto e come il destino già avesse disseminato lungo il percorso di vita e di carriera di Claudio Longhi piccoli semi poi germogliati è un gioco che lo appassiona. Il regista ricorda come «la prima volta in cui sentii il termine “cure palliative” e mi trovai a riflettere su questi temi fu nel 2006, quando con Luca Ronconi stavo lavorando al progetto da cui scaturì poi lo spettacolo Biblioetica. Dizionario per l’uso. Incontrai medici che si occupavano di cure palliative per

conoscere, approfondire, confrontarmi sul loro mondo e nacquero rapporti che mi portarono a costeggiare questa realtà allora a me sconosciuta. Fu una fase della mia carriera che sembrava  finita, chiusa, superata: quando poi ho incontrato gli operatori degli Hospice Seràgnoli ecco che ho sentito scattare una consonanza, sono tornate a vivere quelle parole, quei pensieri, quella dimensione di attenzione specifica per la persona, per la sua dignità che è propria di chi opera in hospice».

Una consonanza che, anche in questo caso, non poteva rimanere limitata all’interno di un confine chiuso, ma aveva bisogno di nutrirsi e crescere aprendosi ad altro, mettendosi in relazione con altro. «Il tema del disagio, di quel disagio primario che è la sofferenza fisica, la malattia, è un tema che deve stare al centro della riflessione sociale di ogni comunità. È un elemento costitutivo del teatro – pensiamo a che cos’era la tragedia greca, alla catarsi collettiva che passava dal portare sulla scena, ovvero in piazza, il dolore – e deve essere un elemento centrale per qualsiasi ragionamento umano. Per questo credo che il teatro debba e possa mettersi “al servizio” di un tema così forte per le persone e per la comunità». Prosegue Longhi: «Fu il commediografo Antonin Artaud a introdurre l’immagine, ardita, di “teatro come peste”. Nel senso che il teatro è un contagio che si diffonde attraverso un contatto fisico tra le persone: il teatro non è solo parole o gesti sulla scena, ma è una relazione totale con l’altro, una relazione tra corpi e anime. Mi sembra che, al fondo di tutto, è in questa relazione che si gioca la quotidianità all’interno dell’hospice. Una relazione totale tra persone».

Un teatro che diventa specchio e testimonianza della vita reale: un medium empatico per narrare quelle sfumature, quelle parole ma anche quei silenzi e quei gesti che spesso costituiscono la “vera” comunicazione. Si basa sulle risorse eccezionali (e millenarie) del teatro come “comunicazione umana” il progetto Come allo specchio – Racconti e ispirazioni sulla vita, che ha visto lo scorso 30 marzo la sua prima attuazione: un’équipe di professionisti della Fondazione Hospice (Francesca Bonarelli, Marco D’Alessandro, Catia Franceschini, Matteo Moroni), affiancata da Michele Dell’Utri, attore di ERT Fondazione ha “messo in scena” un caso tipico tra quelli gestiti quotidianamente in hospice, evidenziando dinamiche relazionali, letture psicologiche, tempi di intervento e comunicazione.

Questo nell’ambito di una giornata di formazione che l’Aeroporto Marconi di Bologna ha organizzato per i volontari del PEA – Piano di Emergenza Aeroportuale.

L’esperienza maturata quotidianamente dai professionisti della Fondazione Hospice Seràgnoli sui temi della gestione della crisi, della comunicazione in condizioni di stress, della relazione con i familiari diventa così, attraverso un linguaggio nuovo come quello del teatro, uno strumento di formazione e un know-how prezioso anche in contesti differenti rispetto all’ambito della cura.

Il progetto, sviluppato in fase pilota per l’Aeroporto Marconi ha visto anche la partecipazione di alcuni rappresentanti del Comitato “8 Ottobre per non dimenticare” (comitato di familiari costituito dopo l’incidente all’aeroporto di Linate del 2001).

Si ringraziano:

Claudio Longhi,
Michele Dell’Utri,
Giacomo Pedini,
per ERT Fondazione

Nazareno Ventola,
Marco Verga,
Anna Rita Benassi,
Monica Maccaferri,
per Aeroporto G. Marconi

Adele Scarani
del comitato 8 Ottobre

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